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Una volta, qualcuno mi aveva detto… ”Solo perché ami qualcuno, non significa che siate destinati a stare insieme”. Questa frase mi aveva pietrificato nel momento stesso in cui l’avevo compresa e capita il secondo successivo. Ero sempre stata una romantica, credevo nel destino, nel grande amore che ti avvolge e ti travolge nel bene ma anche nel male facendoti sentire indifeso e forte allo stesso momento, perché la tua vita non era più tua, ma il tuo cuore apparteneva a qualcun altro.
- La grande mela, New York era una città affascinante, ti seduceva con le sue luci, il suo stile, i locali esclusivi, le feste, la moda… di una capitale come quella ti innamori o la odi, non esistono le mezze misure e con me, era stato amore a prima vista. Volevo andare a New York, volevo vivere a New York. Dei bozzetti di alcuni miei vestiti erano stati spediti a una competizione per giovani stilisti proprio in quella città. Era stato Nathan a farlo senza dirmi niente. Nathan era così… era un ragazzo generoso, ma non sapeva neppure d’esserlo o forse lo stava scoprendo ora, grazie un po’ anche a me. B: Posso farle una domanda? non avevo voglia di tornare subito in albergo, quel tassista mi piaceva e stava ascoltando una canzone che non capivo. Lui mi guardò attraverso lo specchietto e annuì. B: Può dirmi che sta dicendo la canzone? quando avevo delle scelte da prendere, mi aiutavo con il gioco della radio. È molto semplice, fai la domanda, accendi la radio e cerchi una stazione, quando senti che è il momento lasci quella frequenza e la canzone che sta trasmettendo è la tua risposta, peccato che in quel caso fosse una canzone in lingua balcanica. T: E’ la storia di una ragazza molto triste… è indecisa fra due uomini. Un uomo è molto ricco, le può offrire il mondo e l’altro, che conosce da sempre e ama moltissimo. wow… quella canzone così strana sembrava essere la metafora perfetta della mia vita. B: Già… poco dopo arrivammo a destinazione, l’uomo spense il taxi e cominciammo a parlare, era un uomo molto saggio, i suoi erano consigli preziosi, quelli che avevo bisogno di sentire in quel momento. B: Non riesco a capire perché sono così triste. Sono carina, sono giovane e ho una carriera fiorente di fronte a me. T: Hai tanta vita di fronte a te, sai? B: Vuole dire che non devo avere fretta? Che potrò fare la stilista una volta cresciuta… non devo farla per forza da domani. T: No, dico il contrario… il tempo passa in fretta ragazza. Hai una vita davanti e puoi cominciare a renderla fantastica da subito. La mia vita sarebbe stata diversa se avessi avuto un occasione come la tua. È meglio fare il tassista o fare moda? Hai il cuore buon Brooke Davis, non lasciare che questo cambio… sai cosa vuoi? Vai e prenditelo e se c’è chi non lo capisce, sono sicuro che tu sappia come farti ascoltare. mi parlò come un padre parla a una figlia, mi colpì. B: Grazie Daed e le auguro buona fortuna.. ero stata fortunata a trovare quel tassista, ce ne erano di così pessimi. T: Ricorda… se sei fortunato, se la persona che ami è la persona giusta e decide di ricambiarti… non c’è successo che tenga il confronto… è la chiave di tutto. B: Già… quella notte stessa tornai a Tree Hill, avevo presentato i modelli, la sfilata era stata fatta quel giorno stesso, mancava solo il risultato, che i vincitori venissero decretati, ma non avevo tempo da perdere, volevo tornare a casa, volevo andare da Nathan. La vita passava in fretta, non dovevo essere frettolosa di arrivare, ma dovevo solo godermi il presente, quel momento che una volta passato non sarebbe più tornato indietro. Volevo realizzare i miei sogni nella moda e nella vita privata, volevo che Nathan venisse con me, sino a quel momento non l’avevo capito, ma lo volevo, volevo stare con lui, viverci la nostra storia al liceo insieme e volevo lui al mio fianco domani, quando la sicurezza di un mondo che conoscevo non ci sarebbe più stata. - No… era stata mia madre e dirmi quella frase un giorno che potevo prendermela comoda senza rischiare di essere in ritardo per qualche appuntamento o riunione di lavoro. A New York stavo bene, però mi ero sempre sentito sola anche quando era arrivata mia madre, anzi, Victoria come voleva essere chiamata lei. Avevo sempre cercato l’amore di mia madre… inutilmente. Mi piaceva quel clima ironico e divertito che si era creato con Nathan, era bastato parlare di Bradley e di Jennifer e la magia era accaduta. Stavo bene con Nathan e lo sarei stata sempre. Era così semplice e allo stesso tempo complicato perché… eccola lì una risposta che mi lasciava di sasso… lui che preferiva la mia compagnia a quella di Jennifer. Che cosa avrei dovuto leggere in questa sua affermazione? Semplice cortesia perché si trovava con me in quel momento o qualche significato nascosto fra le pieghe dell’intonazione per quelle parole. «Ci credo… mica è così simpatica e logorroica come me.» ci misi l’ironia, continuai a scherzare con lui per quel timore che il discorso prendesse una profondità d’intenzioni e motivazioni che non sarei riuscita a gestire in quel momento. Non avrei mai pensato di ritrovarmi a un tavolo da sola con lui, anche se solo per una colazione che arrivò del tutto inutilmente, sembrava come se la fame fosse scomparsa. Non mi sentivo pronta a parlare con lui di quella grande questione irrisolta che vi era fra noi e forse, neppure lui lo era o forse non c’era niente di cui parlare, il suo era solo un tentativo di ricucire un rapporto che non poteva essere fra conoscenti, ma tra amici poteva. Fu così che cercai di spostare l’attenzione su qualche altro argomento e il basket mi sembrava la scelta migliore. “Se c'era qualcosa che amavo di lui. Era il suo conoscermi. Traduceva ogni mia smorfia e ogni mio sguardo, sapeva cosa volevo dire anche nel mio silenzio. Ecco amavo soprattutto quello. Mi conosceva come in fondo nessun altro.” Era sempre stato così e forse sarebbe stato così per sempre o sarebbe cambiato tutto. Quando Nathan mi guardava… wow… temevo di perdermici dentro quei suoi occhi azzurri. Un tempo lo amavo, ma non glielo avevo mai rivelato. Ora? Certe cose non sono destinate a cambiare e certi sentimenti a morire… per me, lui sarebbe sempre stato Nathan Scott, il numero ventitré, il capitano dei Ravens e il ragazzo che avevo conosciuto, imparato a conoscere e amato. Mi ero chiesta che cosa fossi pronta a fare per l’amore, che rischi avrei corso, che sfide avrei affrontato per l’amore… quello vero. Mi ero sempre creduta una sorta di eroina romantica… ma non lo ero mai stato, avevo fallito e avevo lasciato andare via l’amore. La semplice verità era che sono stata una codarda… non ho tirato fuori quella forza che mi aveva portato a vincere quel concorso a New York, quella determinazione che mi caratterizzava quando volevo qualcosa, realizzare i miei sogni. Alzai lo sguardo su Nathan e lo guardai con scrupolo come se volessi trovare qualche imperfezione nel suo viso, il segno di un cambiamento, qualcosa che mi suggerisse che quel ragazzo che avevo di fronte non era più lui… non era più il mio Nathan. Adoravo la sua determinazione, il suo essere così presuntuoso e sicuro di se quando si trattava di avere una palla in mano. Adoravo la sua dedizione al basket, i sacrifici che aveva fatto per raggiungere quei risultati che nessuno più di lui meritava. Ero così orgogliosa e fiera che finalmente si fosse reso conto di quello che voleva e che vi credesse, che mi fece sorridere sinceramente di tutto cuore. Non c’era niente che non avrebbe potuto fare e doveva esserne consapevole, se non ci credeva lui, nessuno avrebbe potuto farlo per lui. Crederci era il primo passo verso il successo. Il futuro era così incerto che bisognava vivere il momento, impegnarsi per essere vicini a quella persona che si voleva essere. Lavorava da tutta una vita per raggiungere la massima serie, ma capivo perché potesse sentirsi perso, in confusione riguardo a quello che volava davvero. Era normale che si fosse domandato se quello fosse il suo sogno e non quello di Dan, a volte me lo domandavo anch’io, se quello della moda fosse il mio di sogno o di Victoria. Guardai Nathan e sembrò come se volesse dirmi qualcosa, sapevo cosa voleva dirmi… era mancato anche a me, lo dissi, ma probabilmente l’arrivo di quella cameriera non gli aveva fatto sentire le mie parole. Meglio così… forse… fu impulsivo ciò che gli chiesi subito dopo, non potei rimangiarmi quelle parole, ormai avevano lasciato la mia bocca. Era stato strano fargli quella domanda come lo era essere lì in attesa di risposta. Nathan era un bravo allievo, infatti, usò la mia stessa tecnica, quella dell’ironia. Io mi riferivo alle ragazze e lui si riferì alle aspettative spezzate nel cuore di quei ragazzi che lo avevano visto diventare titolare, relegando loro alla panchina. Annui sorridendo, era stato furbo, ma in fondo il Karen’s Cafè non era il luogo adatto per parlare di noi, sempre se un noi esisteva ancora. Quando c’era qualcosa che mi metteva in difficoltà, ecco che io sviavo la domanda, ci giravo attorno o ti rispondevo con retorico, con ironia senza rispondere concretamente a quella che era stata la domanda. Era la mia abilità, ero pure brava e Nathan sembrava esserlo come me, ma non riuscì a trattenersi da aggiungere altro… aveva tentato di costruire un rapporto con qualcuna, ma non c’era riuscito, la sua testa lo portava da un'altra parte… da chi? Sarebbe stato troppo egoistico credere che pensasse ancora a me? Che quella sua difficoltà a esporsi con le donne fosse dovuta a me? O forse si era reso conto che per tutto quel tempo era stato uno sciocco a farsi scappare Haley? Haley… la scelta giusta e responsabile. La sua storia con il canestro e la palla sarebbe stato un amore eterno. Non manco, però di rivoltare la domanda. C’era qualcuno di speciale nella mia vita? Qualcuno per il quale avrei lasciato tutto?- B: La vita non è solo lavoro Mamma! le dissi enfatizzando il grado di parentela che Victoria Davis aveva con me. Lei era più tosta della donna di ferro, era dura, ma io non ero come lei, mi vedeva debole, seppur talentuosa nel mio lavoro. V: Non staremo mica parlando di nuovo di lui Brooke! esclamò stizzita guardandomi tra l’incredulo e seccato. Lei non si era mai interessata alla mia vita privata o del liceo, non le importava dei trofei vinti con le ragazze pon pon, il mio essere stata eletta presidente del consiglio studentesco… a lei interessava solo di se stessa, della carriera, del successo e dei soldi. B: Lo dici come se fosse terribile l’amore. V: Il vostro non è amore e hai troppo da perdere. B: E Nathan Scott è l’unico per cui l’avrei fatto… era la pura e semplice verità, per me Nathan c’era ancora, non era un’eco del passato. V: Piccolo tesoro mio… è stato in città fino a ieri per il campionato universitario e non ti ha neppure chiamato… devi lasciarlo andare Brooke. Nathan Scott non merita il tuo tempo e il tuo amore. L’amore non è la chiave di tutto, potere e successo lo sono. mi accarezzò la guancia e mi sorrise con quello che doveva essere affetto per lei. Annui debolmente abbassando lo sguardo. Quello che aveva detto era vero, Nathan era stato in città e non c’eravamo visti, non mi aveva chiesto d’incontrarci, fu come se non fossimo sotto lo stesso cielo, non gli importava, era andato avanti senza guardarsi indietro. Aveva ragione mia madre, dovevo lasciarlo andare. Dovevo pensare all’azienda, ai progetti per ingrandirci con la linea d’alta moda e la rivista con il mio nome sopra, anche se questi progetti avrebbero rischiato di non farmi sentire più mia la società, era a questo che dovevo dedicarmi, non a un amore perduto. - Amare qualcuno ed essere ricambiati era la chiave di tutto. Ero così confusa e perplessa che quei ricordi non mi rendevano semplice anche solo respirare di fronte a Nathan, figuriamoci a mangiare la torta e il cappuccino che erano ancora lì. Non capivo il senso di quella colazione insieme, di quella sua chiamata che non credevo avesse qualche significato particolare rispondere più o meno positivamente o negativamente alla sua domanda. Ero uscita con molti uomini del mondo dello spettacolo e della moda, anche persone al di fuori quell’ambito, ma con nessuno aveva funzionato. Nessuno aveva vinto il paragone con Nathan. Lo so, era una cosa terribile anche solo a pensarla, non si dovrebbero fare paragoni, ma era successo, l’avevo involontariamente fatto. Nessuno era come Nathan e nessuno mi aveva fatto sentire come m faceva sentire lui, ma era anche vero che non avevo dato a nessuno la concreta possibilità di farlo. «Perché mi hai chiesto di venire qui?» non si dovrebbe rispondere a una domanda con un'altra domanda, non era educato, ma dell’educazione in quel momento non me ne importava molto, avevo bisogno di capire, sistemare quei tasselli del puzzle. Probabilmente l’avrei spiazzato nuovamente con quella domanda, dopo quella diretta sulla sua vita privata, ma andava così quella mattina, ero così impaziente e allo stesso tempo mi sentivo così in balia delle sue parole che mi sentivo debole. Rimasi a fissarlo con un’espressione incerta, non sapevo che cosa augurarmi che dicesse… quale sarebbe stata la confusione minore. Ero così certa che Nathan fosse andato avanti, che non provasse più niente per me, che sentirglielo probabilmente dire, avrebbe spezzato comunque il mio cuore, ma già… è vero… Nathan non aveva mai detto di amarmi o di tenerci a me, figuriamoci se era così adesso che eravamo stati distanti per mesi e che le nostre vite avevano preso due strade differenti. Forse… se gli avessi chiesto di venire a New York… no, basta, non potevo continuare a pensarci e a martellarmi la testa in quel modo, sarei impazzita, avevo bisogno d’aria fresca e come un segno divino, ecco che il mio telefono si mise a squillare. «Scusami un secondo…» gli dissi alzando l’indice della mano destra per chiedergli tempo ancora prima che mi potesse dare una risposta. Estrassi il cellulare dalla borsa e guardai il nome che vi era scritto, avevo cambiato cellulare da poco, non avevo avuto ancora tempo di personalizzare le suonerie in modo da poter sapere chi mi stesse chiamando. Era Victoria, altro che segno divino… demoniaco. «Devo rispondere… E’ Victoria.» gli dissi tirando l’angolo sinistro della bocca. Non la chiamai “mamma”, ormai mi ero proprio abituata a chiamarla così. Mi alzai dalla sedia cercando di non fare troppo baccano e uscì dal Karen’s per prendere quella telefonata, non mi andava di parlare con lei avendo di fronte Nathan e poi era una di quelle cose che non sopportavo, chiamare o scrivere al telefono per comunicare e socializzare quando si era seduti a un tavolo con una persona in carne ed ossa di fronte a te. Guardai Nathan attraverso la vetrina per qualche secondo, gli diedi le spalle e… «Pronto… Victoria!». Edited by wåltz² - 16/3/2014, 18:48 |