Avete mai fatto caso che la mattina, quando ci si sveglia, la nostra mente si attiva facendoci pensare qualcosa o qualcuno? Che a volte capita che quel pensiero sia lo stesso per tutte o buona parte dei risvegli successivi? Per buona parte degli anni del liceo, il mio primo pensiero era stato il mio nome,
Brooke, a volte era il torneo di ragazza pon pon, altre ancora era stato il nome di Lucas. Quando era nata, la storia con Nathan avevo smesso di avere come primo pensiero tutte queste cose. Dopo la fine della relazione con Nathan, il primo pensiero che avevo fu sempre lo stesso, un nome…
Nathan. Non se n’era mai andato dalla mia testa il suo pensiero, anche se a volte mi svegliavo pensando agli inghippi di lavoro, durante la giornata tornava sempre alla mia mente, a volte era qualcosa che mi portava a ricordarlo, un articolo di giornale che parlava di lui, il basket, un oggetto o una situazione, mentre altre veniva del tutto naturale. Non avevo mai smesso di pensarlo… potevo non averlo più visto… potevo non aver ceduto alla tentazione di chiamarlo… ma il suo ricordo era sempre stato con me, ogni giorno fino a oggi.
Lui non lo sapeva… c’erano tante cose che Nathan non sapeva, come per esempio l’abitudine che ogni tanto mi coglieva durante il liceo. A volte mi svegliavo presto, più presto di quanto immaginassi, a me piaceva restare a letto a dormire, ma quando accadeva, mi alzavo, mi vestivo e andavo a River Court. Quel posto non apparteneva al passato di Nathan, ma al suo presente. Ogni volta che ci andavo, mi stringevo sotto la felpa che indossavo e lo guardavo giocare su quel semplice campetto. Lo raggiungevo a piedi, parcheggiavo poco distante, avrei potuto lasciare la macchina lì di fronte ma Nathan si sarebbe accorto di me e non volevo che questo accadesse, quello doveva restare un mio segreto, io che lo guardavo da lontano realizzare i suoi sogni. Ricordavo ancora il profumo dell’aria fresca alle prime luci dell’alba, ricordavo la morbidezza dell’erba appena tagliata, il rumore rado delle macchine sfreccianti sulla strada, il suono della palla da basket sbattuta contro il suolo e il fruscio del canestro. Mi piaceva l’idea di guardarlo, era così impegnato e assorto dal potere della palla che teneva in mano, che mi ammaliava, la sua dedizione m’ispirava. Senza che lui si accorgesse di me, poi me ne andavo a casa, capitava che disegnassi qualcosa o che semplicemente mi preparassi per andare a scuola passando a prendere Peyton o aspettandola fuori di casa. Nessuno sapeva che cosa realmente aveva significato quel ragazzo che ora mi sedeva di fronte con l’aria più tranquilla e in pace della terra. Era fortunato a sentirsi così a suo agio con me… io non lo ero, semplicemente perché provavo ancora qualcosa per lui, ma questo era solo un problema mio. Avere Nathan di fronte che mi guardava e parlava, dopo quel nostro abbraccio, era una vera tortura, perché avrei voluto farmi abbracciare da lui ancora una volta e non solo… non lo avevo dimenticato come avevo creduto… e questo faceva male, in un certo senso. Abbassai lo sguardo fingendo di sistemarmi sulla sedia, ma stavo cercando un momento di tregua dal suo sguardo che sembrava scrutarmi dentro. Avevo paura che Nathan mi guardasse meglio e scorgesse quel mio patimento interiore, quel mio essere ancora invischiata con lui. Chiusi appena gli occhi e feci un profondo respiro, anche se avevo bisogno d’aria. Ero rimasta ore nel mio letto a pensare a Nathan e a cosa mi legasse a lui, che cosa mi piacesse, che cosa fosse cambiato nel mio modo di vederlo, finché un giorno lo capì…
Fu durante una partita di Basket, la semifinale del campionato di stato, eravamo tutti tesi peggio delle corde di un violino. Allo scadere del tempo regolamentare, ecco un fallo in attacco sul numero ventitré. Nathan andò sulla lunetta pronto a tirare a canestro, ma il suo sguardo si posò su di me, mi sorrise e senza distogliere i suoi occhi dai miei, tirò… fece canestro e i Ravens andarono in finale. Ci fu qualcosa in quel nostro sguardo di totalmente fuori dal tempo e dallo spazio. Durante quel tiro…
Nathan mi aveva guardato come mai prima d’ora aveva fatto… quel suo modo di sorridermi mi fece sentire in pace, mi fece sentire viva, mi fece capire che Nathan non mi avrebbe mai giudicata o trattata in maniera meschina… se solo l’avessi voluto, lui ci sarebbe sempre stato per me. Ero così orgogliosa di lui ancora oggi, che non poteva davvero immaginarlo. Mi mancava guardarlo sul campo da gioco.
”E’ normale Nathan… se ti piacesse, ci sarebbe qualcosa che non va, anche se no, non ci sarebbe niente che non va a parte il cuore spezzato per milioni di tue ammiratrici che sapendoti dell’altra sponda, sicuramente darebbero di matto, ma non ci sarebbe niente di male se tu fossi… beh si hai capito.. comunque, che non ti piaccia Bradley, credo sia comprensibile, anche se è piacevole la sua compagnia, probabilmente preferiresti quella della Aniston… una cara ragazza pure lei!” come al mio solito ero finita con il mio classico straparlare che mi aveva condotta ad insinuare un’improbabile omosessualità del uomo che volevo io! Una tale notizia avrebbe distrutto me, non le sue ammiratrici, perché in quel caso non avrei potuto fare niente, se non rimanere un ricordo per lui. Feci spallucce e scuotei la testa per allontanare quei pensieri. Volevo restare un ricordo per Nathan o volevo far parte del suo presente? Poteva sembrare una domanda banale, eppure aveva un significato specifico, profondo, semplice… ero qui a chiedermi che cosa volessi, dimenticandomi di fare la domanda più importante… che cosa voleva Nathan? In fondo mi aveva invitato lui per quella colazione insieme. Neppure per un secondo avevo ipotizzato alla possibilità che a Nathan non piacesse Bradley per le voci che lo avvicinavano a me e per averci cenato insieme. Buffo, non vi pare?
Avevo bisogno di qualcosa di forte, ma era troppo presto per la vodka! Fu così che sfoggiai un bel sorriso e gli chiesi come gli stessero andando le cose e non mi sorprese che la sua risposta riguardasse un unico argomento… il basket. Nathan era nato per interpretare quel gioco al meglio, era un grande giocatore che avrebbe reso ancor più grande NBA! Ero sicura che alla fine ci sarebbe entrato… lo meritava davvero.
Tutti erano convinti che ce l’avrebbe fatta, Nathan Scott non poteva che sfondare, aveva lavorato per questo tutta una vita, ma lui ci credeva?
”E tu lo sei Nathan?” mi uscì di bocca da sola quella semplice quanto diretta domanda che non tutti si sarebbero permessi di rivolgergli. Non volevo tirare fuori chissà quale discorso complicato o profondo di prima mattina quando parte del mio cervello, ancora dormiva, però mi premeva chiederglielo e saperne la risposta. Nathan doveva credere in se stesso e sapevo che non gli serviva che gli
altri, gli estranei credessero in lui, ma chi amava doveva farlo per essergli d’appoggio in qualche modo. Così avevamo vinto il Campionato di Stato. Stavo per chiedergli come gli andasse la vita sentimentale, invece mi precedette chiedendomi come andasse la mia di vita. Che cosa potevo dirgli? Avevo tutto quello che potevo desiderare eccetto la cosa più importante, ciò che le mie migliori amiche avevano, l’Amore. Stavo per rispondergli… ma accadde qualcosa quel me lo impedì…
Nathan sbottò… ma non completamente. Nathan non aveva completato quella frase perché non aveva trovato il fiato per farlo, strano per un giocatore di basket, ma in certi casi della vita l’allenamento non serve per nulla, per pronunciare alcune parole c’è solo bisogno di
coraggio e poi fu agevolato dall’arrivo della cameriera.
”Lo so…. Anche tu…” risposi sentendo una sorta di groppo in gola che mi fece abbassare lo sguardo, io che sino a quel momento ero riuscita abbastanza bene a sostenere quell’incontro, ora mi sentivo crollare lentamente sotto la dolcezza di quel suo sguardo che avevo desiderato rivedere da tanto tempo e la delicatezza di quelle parole che avevo sperato di udire, anche se non le aveva pronunciate fino in fondo, sapevo che cosa voleva dire. Sapevo cosa mancava quel…
mancata che non c’era bisogno, forse di dire, perché lo sapevo da me. Per molte persone, la nostra relazione era stata un semplice capriccio adolescenziale fra due ragazzi che volevano ricalcare il classico stereotipo dell’accoppiata vincente Giocatore di Basket / Cheerleader. Non era stato niente di tutto questo, non era stato un sentimento così superficiale che ci aveva legato durante gli ultimi mesi del liceo, osservati speciali dagli sguardi di tutti e in particolare di Haley e Lucas. Non mi era importato dell’arrivo della cameriera… dovevo dirglielo ed ecco che gliel’avevo detto.
”Un cappuccino e una fetta di torta alle mandorle.” solitamente la mattina facevo colazione con un solo caffè, non mangiavo biscotti o torte, ma quello era un giorno diverso e avevo bisogno di un apporto diverso e maggiore di calorie.
Appoggiai le mani sul tavolo, una sopra l’altra e mi misi a guardare altrove mentre la cameriera prese l’ordinazione anche di Nathan, cameriera bionda slavata che non aveva smesso un solo secondo di guardare Nathan ammiccando. Le avrei cavato gli occhi se solo mi fossi sentita in diritto di farlo, ma non l’avevo. Solo quando se ne andò, tornai a guardare l’ospite di fronte a te.
”Fai faville… chissà quanti cuori hai infranto alla Duke o c’è qualcuna di speciale?” Nathan non mi stava aspettando, Nathan era il ragazzaccio che aveva la fila fuori dalla porta, quello che seppur fidanzato di Peyton, si metteva a bere tequila dall’ombelico di Bevin mandando la riccia fidanzata su tutte le furie. Fu come se l’atteggiamento di quella cameriera, che probabilmente lo aveva riconosciuto, mi avesse fatto ricordare che Nathan… no, non potevo scaricare su di lui il nervosismo che quella sciacquetta aveva fato nascere dentro di me. Era evidente che tra i due, quella ad avere problemi ero solo io, mentre lui… beh, non si sarebbe risparmiato di flirtare con quella scemetta semplicemente perché poteva farlo.